Chiacchierata con Ezio Bosso, pianista e direttore d'orchestra di fama internazionale, che domenica ha chiuso il Todi Festival 2016 con un concerto per solo piano.
Incontriamo Ezio Bosso, al termine della trentesima edizione del Todi Festival, la quale si è chiusa con il concerto per solo piano di un grande artista, uno dei compositori e musicisti più influenti della sua generazione, pianista e direttore d’orchestra di fama internazionale.
Nella suggestiva cornice di Piazza del Popolo (a Todi) il Maestro si è esibito nell’ultima tappa del suo The 12th Room tour, un concerto emozionate ed emozionato. “The 12th Room”, uscito il 30 ottobre 2015 e Disco d’Oro, è il suo primo disco da solista ed ha finito di registrarlo esattamente il 4 settembre dello scorso anno – come ha ricordato il Maestro durante il concerto, sottolineandone la singolare e curiosa coincidenza.
C’è una teoria antica che dice che la vita sia composta da dodici stanze, nessuno può ricordare la prima stanza perché quando nasciamo non vediamo, ma pare che questo accada nell’ultima che raggiungeremo. E quindi si può tornare alla prima. E ricominciare; così il suo disco è stato concluso il 4 settembre del 2015 e il 4 settembre del 2016, 12 mesi dopo, ha avuto luogo l’ultimo concerto dell’omonimo tour.
Credo si possa dire che in un certo senso la musica era nel tuo destino, la svolta nel tuo percorso artistico è stato l’incontro con il Maestro Ludwig Streicher che ti ha indirizzato a studiare Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna, come descriveresti questo incontro e il vostro rapporto?
Un maestro non è colui che ti insegna come fare, ma chi ti svela chi sei e la direzione da prendere. Più penso al rapporto con il Maestro Streicher è più mi rendo conto che sia proprio così.
Ero molto giovane quando ci siamo incontrati, avevo appena compiuto 17 anni e per me era un vero e proprio mito: tremavo davanti a lui, era un uomo grande, anche fisicamente, severo e dolce, pieno di ironia. Mi ha permesso di studiare con lui a patto di studiare anche quello che sarebbe davvero diventata la mia quotidianità: composizione e direzione d’orchestra.
Economicamente non potevo permettermi l'Accademia di Vienna, così lui mi ha aiutato, trovandomi lavori in orchestra, dandomi persino da mangiare. Anni dopo scoprii che non avevo una borsa di studio, ma erano lui e il mio insegnante di direzione Österreicher che pagavano la mia retta. Credo che questo dica tutto, soprattutto della meravigliosa persona che era.
Fin da giovanissimo ti sei esibito sia come solista che come direttore, se dovessi scegliere un concerto, quello che ti ha emozionato di più, quale sceglieresti?
Non riesco davvero a trovare un concerto a cui sono più legato. Sono emozioni forti in ogni luogo, con ogni persona. Oggi di più: oggi è ogni volta tornare. In ogni concerto propongo me stesso, il mondo che amo e in cui credo. Propongo, spero, un accesso alla musica erroneamente chiamata classica, ma che in realtà è libera perché, che sia stata scritta, permette di farla appartenere a tutti: da chi la scrive, a chi ci mette le mani, a chi non mette le mani.
La musica diventa di chi la suona e di chi l’ascolta: la musica è libera. La musica ci insegna ad ascoltare, ad ascoltare noi stessi e gli altri. La musica ci insegna che un problema è un’opportunità per capire, per cambiare, per migliorare.
Qual è il momento che preferisci durante un concerto?
Le prove credo, lo studio, la preparazione. Poi nella vita quando suono, suono. Non credo nel risparmiarsi, la musica è un atto di responsabilità, di quella responsabilità che è intrisa di coraggio e generosità.
Penso si debba suonare sempre come se fosse l'ultima volta che lo si può fare, anche in prova. Credo che si debba sempre rischiare in onore della musica e che quando si dà tutto la musica ci riveli, ci illumini punti che non avevamo notato. La musica fa perdere il tempo, ma non perdere tempo – mi piace quest’espressione…perchè quando perdi qualcosa inizi ad ascoltare e guardare, inizi a capire.
Come artista, cosa credi che si potrebbe fare per avvicinare maggiormente il pubblico alla cultura, intesa come concerti, performance, spettacoli teatrali?
Tutti possiamo fare qualcosa, far ascoltare musiche diverse, arti diverse, fare vedere tante cose diverse ad orari accessibili e invece oggi riduciamo il concetto di pluralità a due o più persone che litigano su "opinioni" diverse. Chi sta dall'altro lato - gli artisti, credo debbano scendere da quell’ “inutile” piedistallo e imparare a dare alle persone gli strumenti per partecipare, per comprendere, per condividere, perché la musica, l’arte come la vita si può fare solo in un modo: insieme.
Secondo la tua esperienza personale, cosa potrebbero fare concretamente le istituzioni e non solo per avvicinare il pubblico all’arte, in senso lato?
Ad esempio le istituzioni dovrebbero obbligare i media a divulgare più cose. L’arte è condivisione. Si dovrebbe far sapere, ad esempio, che in musica le note sono soprattutto l'ultimo gesto di una persona, della sua vita, del suo tempo, della sua ricerca e delle sue intimità e si dovrebbe aiutare chi ascolta in quell'altra magia, quella di riportare tutto questo partendo in senso inverso: dalle note.
“La musica siamo noi. La musica è una fortuna che condividiamo. Noi ci mettiamo le mani ma la cosa più importante che esista è ascoltare”.